IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del pp. 37160/1992 r.g. g.i.p. (n. 44937/1992 r.g. p.m.); O S S E R V A D'ufficio si solleva l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 81 cpv. c.p. per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 27, secondo comma, ult. parte della Costituzione nei sensi di cui in motivazione. Premesso in fatto che il p.m. presso la procura circondariale di Roma ha emesso decreto di citazione nei confronti di Trippa Mauro e Trippa Mario perche' imputati dei seguenti reati: a) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 110 del c.p., 20 lett. C) della legge n. 47 del 1985 per avere eseguito lavori di costruzione di un manufatto in muratura e cemento armato di complessivi mq. 260 x m. 7,50 h al colmo con tetto ricoperto di tegole, in concorso tra di loro, in zona vincolata ex lege 431/1985 e d.m. 438/1987 senza la prescritta concessione. In Fiumicino-Roma il 16 gennaio 1992, 26 febbraio 1992, 23 giugno 1992 e successivamente; b) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 1, 2, 13 legge 5 novembre 1971, n. 1086 per avere eseguito un'opera in conglomerato cementizio armato senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato (opera di cui al capo a); c) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 1, 4, 14 legge 5 novembre 1971, n. 1086 per avere omesso di denunciare la predetta op- era dal suo inizio al competente ufficio del genio civile. In Fiumicino, il 16 gennaio 1992; d) del reato p. e p. dagli artt. 110 e 349 del c.p. per avere, in concorso tra di loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, violato i sigilli apposti all'atto del sequestro dei quali erano stati nominati custodi giudiziari. In Fiumicino, il 26 febbraio 1992 e 23 giugno 1992; e) del reato p. e p. dagli artt. 110 del c.p. 1-sexies legge 8 agosto 1985, n. 431 per avere eseguito, in zona sottoposta a vincolo opere di cui al capo a), in concorso tra loro, senza la prescritta autorizzazione. In Fiumicino, il 16 gennaio 1992; f) del reato p. e p. dagli artt. 110, 734 del c.p. per avere, in attuazione della condotta di cui sopra, distrutte o comunque alterate bellezze naturali di luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorita', in concorso tra loro. In Fiumicino, il 16 gennaio 1992. Gli imputati hanno presentato il 1½ ottobre 1992, con il consenso del p.m., la richiesta di "applicazione della pena a norma dell'art. 444 del c.p.p. subordinatamente alla concessione dei benefici", determinando cosi' testualmente la pena: "Partendo dal reato piu' grave di violazione dei sigilli ex art. 349, secondo comma c.p. con l'applicazione delle attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle aggravanti si applichera' l'art. 349, primo comma con la pena di mesi 13 di reclusione e L. 1.100.000 di multa piu' due mesi di reclusione e L. 100.000 di multa per la continuazione si perverra' alla pena di mesi 15 e L. 1.200.000 meno 1/3 per l'art. 444 del c.p.p. la pena e' quantificata in mesi 10 di reclusione e L. 800.000 di multa". All'udienza fissata per la trattazione gli imputati sono comparsi: Trippa Mauro ha ammesso i fatti; ha dichiarato che era conoscenza che la zona e' sottoposta a vincolo e ha confermato la richiesta di applicazione di pena; Trippa Mario si e' riportato alle dichiarazioni del fratello; il difensore ha chiesto applicarsi la pena concordata. Si osserva in diritto che il giudicante ritiene di sollevare di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81 cpv. del c.p. per le ragioni e nei limiti appresso indicati. Prima di sottolineare le ragioni che rendono rilevante la questione, e' necessario chiarire i termini del problema. I) L'art. 81 cpv. c.p. e' stato oggetto di reiterati interventi della Corte di cassazione a sezioni unite penali nonche' della Corte costituzionale; quanto alla prima: sez. un. 23 ottobre 1976, Desideri, in foro it., 1977, II, 105; sez. un. 22 ottobre 1977, Zavatti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1978, 1099; sez. un., 30 aprile 1983, Anaclerio, in foro it. rep. 1984, voce reato continuato, n. 9; da ultimo, sez. un. 26 maggio 1984, Falato in Cass. pen., 1984, p. 2150; quanto alla seconda: sentenza 18 gennaio 1977, n. 34, in foro it., 1977, I, 776; ordinanza 8 giugno 1981, n. 99, ivi, rep., voce reato continuato, n. 58; 10 maggio 1978, n. 54 e, infine, senteza 17 marzo 1988, n. 312, in foro it., 1989, p. 1773. Prescindendo dalla ricostruzione analitica dell'evoluzione giurisprudenziale relativa all'art. 81 cpv. del c.p. dopo la riforma del 1974, e' sufficiente porre in rilievo che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata in sede di legittimita', e' ammissibile la continuazione tra delitti e contravvenzioni. In tal senso si e' espressa la Corte di cassazione a sezioni unite penali 26 maggio 1984, Falato, sopra citata. Tale orientamento e' stato confermato con sentenza interpretativa di rigetto n. 312 del 17 marzo 1988 di codesta Corte costituzionale (sopra indicata). Codesta Corte, mutando radicalmente l'orientamento precedente, ha enunciato il principio secondo cui non v'e' piu' alcuna ragione per escludere la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, non essendovi violazione del principio di legalita', in quanto pena legale non e' soltanto quella comminata dalle singole fattispecie penali, ma anche quella risultante dall'applicazione delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, compresa quella di cui all'art. 81 cpv. del c.p. Si osserva che, partendo da quest'ultima considerazione, deve considerarsi una disposizione incidente sul trattamento sanzionatorio anche quella prevista dall'art. 163 del c.p. Per chiarire i termini del problema e giungere al fulcro della questione che oggi si sottopone all'esame della Corte, si rileva che l'art. 20, lett. C) della legge n. 47 del 1985 e l'art. 1-sexies della legge n. 431/1985 prevedono la medesima sanzione dell'arresto fino a due anni e dell'ammenda da 30 a 100 milioni di lire. Per entrambi i reati la pena pecuniaria non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, anche in concorso di attenuanti generiche. L'art. 349, secondo comma, del c.p. prevede la pena della reclusione da tre a cinque anni e della multa da lire seicentomila a sei milioni per colui che violi i sigilli. Anche in tal caso non e' consentita la concessione del beneficio previsto dall'art. 163 c.p. salvo che non ricorrano attenuanti; in quest'ultimo caso, infatti, la pena applicabile e' da sei mesi a tre anni di reclusione e la multa da L. 200.000 a L. 2.000.000; invero, secondo l'orientamento consolidato, il capoverso dell'art. 349 e' considerato una circostanza aggravante e non un reato autonomo; con la conseguenza che, concedendo le attenuanti generiche, ritenute equivalenti all'aggravante, e' applicabile la pena prevista dal primo comma dell'art. 349 del c.p. che consente la concessione del beneficio della sospensione. Occorre aggiungere che e' pacifico in giurisprudenza che tra delitti e contravvenzioni debba essere considerato piu' grave in ogni caso il delitto, anche se punito con pena meno grave. Da cio' discende che, ritenuta la continuazione tra delitti e contravvenzioni, la pena base vada determinata sempre in relazione al delitto; se cosi' non fosse, oggi il problema di illegittimita' costituzionale non si porrebbe - o, almeno, non nei termini di cui ora si dira' - perche' le parti avrebbero concordato una pena partendo dalla pena edittale prevista per le contravvenzioni, in concreto piu' gravi quantomeno sotto il profilo delle conseguenze previste dal legislatore con riferimento all'impossibilita' di concedere il beneficio della sospensione. Da quanto sopra detto discendono per conseguenze che appaiono inique sul piano della parita' di trattamento e in contrasto con il fine rieducativo della pena. II) Sotto il primo profilo si osserva che colui il quale violi l'art. 20, lett. C) (e/o l'art. 1-sexies, legge n. 431/1985) e, subi'to il sequestro, rispetti il vincolo impostogli dall'autorita' giudiziaria, andra' incontro ad una condanna che dovra' necessariamente scontare; colui che, invece, fin dall'inizio abbia deciso di commettere la contravvenzione e di violare i sigilli gia' prevedendo, sia pur con dolo eventuale, che questi vengano apposti alle opere, potra' godere del beneficio della sospensione della pena. Vi e' una evidente disparita' di trattamento e colui che ha commesso la sola contravvenzione non potra' non avvertire come ingiusta la condanna che lo vede punito sostanzialmente in modo piu' grave di chi abbia agito con maggiore intensita' del dolo. Deve addirittura sottolinearsi che il solo contravventore potrebbe avere agito anche per mera colpa - sia pure in concreto inescusabile - mentre colui che ha commesso anche il delitto ha agito certamente con dolo anche nel momento in cui ha commesso la contravvenzione, proprio perche' ha agito in esecuzione di un disegno criminoso: il primo pero' dovra' espiare la pena, il secondo potra' godere del beneficio della sospensione. Non sembra valido osservare che e' facolta' del giudice non concedere nel secondo caso il beneficio, perche' cio' non risolve il problema della disparita' di trattamento: infatti il giudice ben puo' ritenere, nel momento in cui emette la sentenza, che il soggetto che ha violato i sigilli abbia intenzione di non violare piu' le leggi, e quindi non puo' certamente negargli il beneficio. III) Si puo' obiettare che la proposta eccezione di incostituzionalita' non e' aderente al principio del favor rei se la si considera solo con riguardo agli odierni imputati. Ma a tale obiezione si contrappongono due considerazioni. A) Innanzitutto non e' possibile sollevare l'eccezione di costituzionalita' sotto profili diversi, cioe' di illiceita' dell'art. 20, lett. C) della legge n. 47/1985 o dell'art. 1-sexies della legge n. 431/1985 al fine di consentire al mero contravventore la concessione del beneficio della sospensione, per porlo su di un piano di parita' di trattamento con colui che risponda anche del delitto; invero codesta Corte ha gia' rigettato tale eccezione, rilevando che non appare irrazionale la pena edittale prevista dal legislatore per reati che riguardano l'ambiente e la tutela del territorio. B) Inoltre occorre soffermarsi sul principio del favor rei. Si tratta si un principio insito nel sistema penale e che trova attuazione in alcune norme penali, tra cui, ad esempio, proprio l'art. 81 del c.p. Bisogna pero' verificare se tale principio possa prevalere sulla norma costituzionale che sancisce l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Puo' cioe' il legislatore, per favorire il singolo imputato, creare situazioni di oggettiva disugualianza? Puo' il legislatore, nel disciplinare la determinazione della pena, prevedere che ad una condotta caratterizzata da maggiore intensita' del dolo corrisponda una pena piu' mite rispetto ad una identica condotta caratterizzata da un'intensita' del dolo minore, senza che sia vulnerato non solo il principio costituzionale dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, ma anche di quello sancito dal secondo comma dell'art. 27 della Costituzione, secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e tale e' solo la pena che sia oggettivamente giusta e che sia frutto di pari trattamento? Il discorso investe la legittimita' dello stesso art. 81 cpv. del c.p., almeno nella parte applicabile al caso oggi in esame. Colui che viola diverse disposizioni di legge sara' punito in base al cumulo materiale delle pene; colui che avra' commesso gli identici reati, ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, avra' un trattamento piu' favorevole, potendo avvalersi della disposizione di cui al secondo comma dell'art. 81 del c.p.; eppure quest'ultimo ha compiuto il fatto certamente con maggiore intensita' del dolo: il primo, invero, ha commesso i fatti in virtu' di singoli atti volitivi; il secondo, invece, ha analizzato preventivamente la portata della propria condotta; ha esaminato tutte le conseguenze alle quali andra' incontro; ha stabilito un disegno criminoso in base al quale agire, e che lo portera' a commettere piu' reati; avra' addirittura previsto che l'esecuzione del progetto criminoso gli procurera' dei vantaggi; nel caso in esame, avra' previsto perfino che la commissione del delitto di violazione di sigilli subito dopo la consumazione delle contravvenzioni gli consentira' di avvalersi del beneficio della sospensione; in conclusione costui agira' con una condotta materiale identica, ma caratterizzata da un elemento psicologico di maggiore intensita' del dolo e quindi di maggiore antisocialita'. Il contrasto e' ancora piu' stridente se si considera che colui che ha violato le diverse disposizioni di legge senza avere premeditato la commissione dei reati, potrebbe avere commesso la contravvenzione per mera colpa, sia pure inescusabile, ed avere deciso in un secondo momento di commettere il delitto doloso di violazione di sigilli; colui, invece, che agisce in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, commette sia la contravvenzione che il delitto in virtu' di un comportamento fin dall'inizio necessariamente doloso. In tali casi la pena irrogata ai rei sarebbe ingiustamente differenziata, perche' l'uno, che ha agito con minore intensita' del dolo, subirebbe una pena piu' grave sia per entita' sia per gli effetti, cioe' per la necessita' di doverla espiare; l'altro, invece, godrebbe di un trattamento piu' favorevole. In cio' si ravvisa un contrato con il principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3 della Costituzione. IV) Inoltre e' ravvisabile il contrasto della norma penale in esame con l'art. 27 della Costituzione, perche' l'effetto rieducativo della pena va visto sia in astratto che in concreto. Affinche' sia rieducativa, occorre che la pena comminata per i vari reati e applicabile in base ai meccanismi previsti dal codice, sia tale da non consentire o addirittura consigliare di commettere piu' reati; occorre inoltre che il soggetto che la subisca non la senta come obiettivamente ingiusta, perche' frutto di disparita' di trattamento. Tizio, che ha agito senza preordinazione dei vari reati, condannato a pena piu' grave di Caio, che ha agito nelle medesime circostanze, ma in esecuzione di un programma criminoso, non potra' non sentire come ingiusta la pena che e' costretto ad espiare, pensando che Caio invece sta godendo della liberta' e comunque ha subito una condann piu' mite; e la pena inflittagli, anziche' avere effetto rieducativo, sara' cagione di insaprimento e di maggiore propensione a "delinquere con piu' oculatezza", sfruttando meglio i meccanismi premiali della legge. Caio, per converso, a conoscenza dei meccanismi premiali, programmera' la propria condotta, non sentendo la pena irrogata come remora dal delinquere, ma anzi essendo consapevole e confidando nell'applicazione di norme che lo favoriranno concretamente. Merita qualche ulteriore considerazione l'esame dell'art. 27 della Costituzione. Quest'ultimo sancisce, nella seconda parte del secondo comma, che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Occorre soffermarsi sul senso di tale disposizione. Una prima interpretazione possibile e' che la norma si riferisca alla pena gia' inflitta e al modo in cui essa debba essere scontata. Ma tale interpretazione appare riduttiva. In effetti sembra piu' aderente agli intendimenti del costituente ritenere che tale principio si riferisca anche alla comminatoria della pena e alla sua efficacia come remora dal delinquere nonche' come adeguatezza al caso concreto. In altri termini l'effetto rieducativo della pena non va visto soltanto alla luce delle modalita' con le quali questa debba essere espiata: di cio' infatti si occupa la prima parte del secondo comma dell'art. 27, laddove afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'. L'effetto rieducativo va individuato anche nell'adeguatezza della pena prevista ed irrogata dalla norma rispetto al fatto concreto; quest'ultimo consiste sia nell'elemento oggettivo che in quello psicologico. Pertanto il sistema normativo dev'essere tale, nel suo complesso, da far si che il reo, e non solo il condannato, sappia che la propria condotta trovera' sanzione adeguata e proporzionata e non vi sia una condotta dolosa che gli possa procurare un trattamento piu' favorevole. In sostanza, cio' che si intende dire e' che lo stato attuale della normativa e' tale che colui il quale costruisce abusivamente in zona vincolata, prima ancora di iniziare l'azione criminosa, sa che se commette la sola contravvenzione non potra' godere del beneficio della sospensione; se invece commettera' anche il delitto di violazione dei sigilli, potra' godere di una pena piu' mite e del beneficio della sospenione. Percio' nella normativa attuale vi e' una implicita sollecitazione ad una progressione criminosa. Con cio' la pena non assume piu' una funzione di remora dal delinquere ne' un effetto rieducativo. Non sembra possa obiettarsi che la pena va considerata solo in senso tecnico giuridico, cioe' con riferimento alle sole pene principali ed accessorie previste dal titolo II del libro I del codice penale. Anche le conseguenze strettamente connesse alla condanna, quali quelle indicate dall'art. 163 del c.p., sembra debbano rientrare nel concetto di pena, almeno sotto il profilo costituzionale, perche' si tratta di disposizione che comunque incide sul trattamento sanzionatorio e in particolar modo sulla liberta' dell'individuo ed ha funzione espressamente rieducativa. V) L'eccezione e' rilevante sotto un duplice aspetto: 1) perche' la richiesta delle parti e' nella sostanza corretta e andrebbe accolta; 2) perche' il p.m. e gl'imputati hanno determinato la pena base per il delitto non nel minimo edittale, in considerazione della gravita' del fatto; se la normativa consentisse al giudice di determinare in concreto quale sia il reato piu' grave tra il delitto e la contravvenzione, il p.m. e l'imputato avrebbero concordato la pena base per la contravvenzione partendo da limiti parimenti superiori al minimo edittale; sicche', anche concedendo le attenuanti e applicando la diminuente prevista ex art. 444 del c.p.p., la pena inflitta in concreto sarebbe stata tale, tenuto conto della continuazione tra i reati, da superare i limiti previsti dall'art. 163 del c.p.p., sicche' questo giudice avrebbe accolto la domanda di applicazione di pena, ma secondo una ben diversa formulazione effettuata dalle parti. 3) perche' il p.m. e gli imputati hanno determinato la pena avvalendosi coerentemente della disposizione dell'art. 81 cpv. del c.p., secondo comma, ultima parte, della cui legittimita' si dubita. In effetti tra tutte le contravvenzioni contestate vi e' un concorso formale, essendo state violate con unica azione diverse disposizioni di legge; ma tra le contravvenzioni e i delitti, in particolare quello previsto dall'art. 349 c.p., posto dalle parti come reato piu' grave, e' ravvisabile la continuazione, cosi' come e' ravvisabile la continuazione tra i delitti di cui ai capi D) ed F) e tra le due distinte violazioni di sigilli di cui al capo D). Mentre il concorso formale non pone problemi di disparita' di trattamento, l'istituto della continuazione, specie con riferimento al concorso tra delitti e contravvenzioni, fa sorgere i dubbi di legittimita' sopra prospettati. La determinazione della pena formulata dalle parti, sia pure senza distinguere esplicitamente tra reati in concorso formale e continuazione tra questi e i delitti, e' sostanzialmente corretta perche' il principio dell'aumento della pena fino al triplo e' stato applicato; spettera' al giudicante indicare l'entita' della pena per i reati concorrenti per l'ipotesi in cui le singole pene debbano riassumere la loro autonomia. VI) Dalle premesse sopra esposte discende la necessita' di formulare le richieste da porre a codesta Corte. Qui sorgono i problemi maggiori: in effetti si tratta di far si' che dall'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' derivi un sistema armonico che rispetti i principi di pari trattamento dei cittadini senza incidere oltre misura sul sistema sanzionatorio penale. La dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'istituto della continuazione, almeno con riferimento alla seconda parte del capoverso dell'art. 81 del c.p., ricorrente nel caso in esame, sia pur modificando in modo drastico il meccanismo sanzionatorio, lascerebbe comunque un'armonia nel sistema sanzionatoria penale, perche' eviterebbe disparita' di trattamento, consentirebbe al giudice un piu' limitato, ma anche un piu' chiaro e certo ambito di valutazione e di applicazione delle norme; sarebbe cioe' rispettata la certezza del diritto. La parziale illegittimita' della norma, che per dovere si prospetta in linea gradata, pur risolvendo il problema delle disparita' di trattamento e pur rispettando il principio di rieducazione della pena, darebbe adito verosimilmente a qualche difficolta' di applicazione della norma e ad interpretazioni giurisprudenziali contrastanti. In linea principale si eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'art. 81, secondo comma, ultima parte in relazione al primo comma del medesimo articolo nella parte in cui prevede che colui il quale commette piu' violazioni di diverse disposizioni di legge sia punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione piu' grave aumentata fino al triplo, per contrasto con gli artt. 3, primo comma e 27, secondo comma, ultima parte, della Costituzione. In linea subordinata si eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'art. 81, secondo comma, del c.p. ultima parte, e dell'art. 81, primo comma, del c.p. nella parte in cui non prevedono che il giudice, per determinare il reato piu' grave tra delitti e contravenzioni, debba tener conto della pena edittale sancita per tali reati, ivi compresa la pena pecuniaria, in maniera tale che debba ritenere piu' grave il reato (delitto o contravvenzione che sia) per il quale sia prevista la pena piu' grave sia con riferimento alla pena detentiva che alla pena pecuniaria o, in ogni caso, allorche' la pena da infliggere, anche tenuto conto della pena pecuniaria, non consenta la concessione del beneficio della sospensione;